giovedì 19 novembre 2015

RIUNIONE MARTEDI' 17 OTTOBRE: IL RITORNO DELLA PRESENZA DELLA GLORIA DI DIO

Stasera, i fratelli hanno testimoniato della gloria di Dio da quando ci siamo visti l'ultima volta: sogni profetici, interventi di aiuto (una sorella ha raccontato come il Signore ha salvato il marito da un incendio) e testimonianze di porte aperte alla proclamazione del vangelo. Naturalmente, non sono mancate le opposizioni spirituali da parte delle forze di tenebre per ostacolare e frustrare i piani di Dio.

Un fratello ha condiviso uno studio sull'episodio del re Davide quando riportò fra il popolo l'arca della presenza di DIO, simbolo della presenza e della gloria dell'Eterno.
Questo episodio ci insegna dei principi spirituali essenziali se vogliamo vedere la manifestazione della gloria di Dio nella nostra vita, nel nostro comune e in tutta la provincia ed oltre i suoi confini.



IL RITORNO DELA GLORIA DI DIO (PART 1)

La storia dell'arca del patto 

L'arca del patto era una cassa di legno rivestita d'oro e riccamente decorata, la cui costruzione fu ordinata da Dio a Mosè, e che costituiva il segno visibile della presenza di Dio in mezzo al suo popolo. 

L'Arca è descritta dettagliatamente nel libro dell'Esodo: era una cassa di legno di acacia rivestita d'oro all'interno e all'esterno, con un coperchio (propiziatorio) d'oro puro sul quale erano collocate due statue di cherubini anch'esse d'oro, con le ali spiegate. Ai lati erano fissate con quattro anelli d'oro due stanghe di legno dorato, per le quali l'arca veniva sollevata quando la si trasportava.
All'interno della cassa erano conservati un vaso d'oro contenente la manna, la verga di Aaronne che era fiorita e le Tavole della legge.

 


Essa fu posta all'interno del luogo santissimo del tabernacolo.





Dopo la conquista di Canaan, il tabernacolo fu stabilito nel territorio di Efraim vicino alla città di Bethel. Il popolo di Israele si recava a Sciloh tre volte all'anno per le feste e ogni qualvolta desideravano comunione con Dio per mezzo dei sacrifici.


Ma l’arca da sola, in quanto oggetto, sia pure sacro, non poteva garantire la vittoria in ogni circostanza. Israele lo comprese molti decenni più tardi, al tempo del sacerdote Eli, quando Samuele cominciava il suo ministerio profetico.

In occasione di uno dei tanti conflitti del popolo d’Israele contro i Filistei, Israele fu sconfitto. Si mostrarono sorpresi dall’esito negativo della battaglia e quasi si lamentarono della mancata assistenza di Dio, piuttosto che riflettere sulle proprie colpe che avevano allontanato da loro il favore di Dio (1 Sam. 4:1-3). Pensarono allora di condurre sul campo di battaglia l’arca del patto, ma questo nuovo scontro si rivelò una disfatta e l’arca fu addirittura presa dai nemici (1 Sam. 4:3-11). L’insegnamento che scaturisce da questo episodio è evidente: non si può pensare di godere del favore divino per il semplice fatto di compiere degli atti di culto o di definirsi membri del popolo di Dio.

















L’arca catturata dai Filistei rimase nel loro paese solo sette mesi (1 Sam. 6:1): vari avvenimenti negativi persuasero questo popolo a rispedire l’arca in Israele. Giunse prima a Beth-Scemesh e poi a Kiriath-Jearim dove rimase nella casa di un sacerdote chiamato Abinadab. (1 Sam. 6:13,14; 7:1,2).



 VERSO GERUSALEMME

 
Qui rimase per alcuni decenni, fino a quando Davide, diventato re d’Israele, non decise di trasportare l’arca a Gerusalemme, che nel frattempo era diventata la capitale del regno. Il trasporto fu organizzato con grande impegno, ma quello che nelle aspettative di tutti doveva essere un giorno solenne e festoso si rivelò un giorno di lutto e di desolazione.


 Leggendo i primi 8 versi di 1Cronache 13 vediamo il cuore sincero di Davide nel suo desiderio di trasportare l'arca a Gerusalemme affinchè la presenza dell'Eterno potesse dimorare in mezzo al Suo popolo. A differenza di Saul, un tipico esempio di un conduttore carnale che decide tutto da solo, Davide chiese il consiglio degli altri. Riconosceva l'errore del suo predecessore il quale, ossessionato di se stesso e le faccende personali, non aveva cercato la gloria di Dio. Davide fece "un carro nuovo": non aveva letto forse da qualche parte nella legge di Dio che i Leviti dovevano portare il tabernacolo sui carri durante gli spostamenti nel deserto? Allora Davide avrebbe costruito il più bel carro possibile per onorare il suo Dio che amava con tutto il cuore. Nonostante facessero tutti gli sforzi possibili per piacere a Dio, Egli non gradì questi loro sforzi.

1 Cr 13:9-10  Quando giunsero all'aia di Kidon, Uzza stese la mano per sostenere l'arca, perché i buoi inciamparono. Allora l'ira dell'Eterno si accese contro Uzza e lo colpí, perché aveva steso la sua mano sull'arca; egli morí là davanti a DIO.
 


UNA LEZIONE PER NOI
Che cosa possiamo imparare da questa amara esperienza di Davide? 

La prima cosa da notare e che sebbene Davide consultasse i suoi consiglieri, non dice che lui, insieme a loro, abbia consultato DIO per vedere se era "da parte dell'Eterno, il nostro DIO" (13:2) Questo peccato di presunzione è molto diffuso nella Chiesa dove gruppi entusiasti partono in quarta, pieni di zelo, convinti che i loro progetti sono secondo il modello di Dio: rimangono poi amareggiati quando Dio giudica i loro sforzi carnali.

Questo è chiaro quando consideriamo i nomi dei due Leviti che "guidavano il carro": Uzza e Ahio. Uzza in ebraico significa "forza" ed Ahio è collegato al concetto di "fratellanza" o "amore fraterno". Purtroppo, i nostri più sinceri sforzi per impegnarci in un'opera che abbiamo deciso di compiere per Dio e quel vago sentimento sdolcinato di amore fraterno che spesso maschera una cattiveria nel cuore, non possono sostituire una vera opera spirituale di Dio e una manifestazione della Sua gloria.


In versetto 9 c'è scritto che "Uzza stese la mano per sostenere l'arca, perché i buoi inciamparono"

La parola "sostenere" in ebraico ("achaz") ha il senso di "afferrare per prendere possesso". Questo è inevitabile quando un'opera non viene da Dio: un uomo si ergerà e prenderà in mano le redini per poter dirigere l'andamento dell'opera. In un vero risveglio, nessuno può prendere possesso della gloria di Dio e Dio maledirà qualsiasi tentativo di farlo. Un risveglio non è proprietà di nessuno: l'autore e il compitore dell'opera è l'Eterno. 



 Inizialmente Davide ebbe una reazione di amarezza verso il Signore: come mai, avrebbe pensato, Dio non ha accettato i nostri sinceri sforzi per piacergli? Presto, però, cominciò a rendersi conto che tutto era successo a causa della sua superficialità: lo zelo senza conoscenza non è un sostituto per una sincerca RICERCA delle vie di Dio e il Suo modello in ogni cosa. La santità della gloria di Dio e la Sua presenza  è qualcosa di immensamente potente e sacra: non è un prodotto da vendere o una bella sensazione nel corpo; è "la straordinaria grandezza della sua potenza verso di noi che crediamo secondo l'efficacia della forza della sua potenza" (Ef 1:19). Allora Davide "ebbe paura di DIO e disse: «Come posso trasportare l'arca di DIO a casa mia?».
 

Cosí Davide non volle trasportare l'arca presso di sé nella
città di Davide, ma la fece trasferire in casa di Obed-Edom di Gath. L'arca di DIO rimase tre mesi con la famiglia di Obed-Edom in casa sua; e l'Eterno benedisse la casa di Obed-Edom e tutto ciò che gli apparteneva. (1Cr 13:13-14)

Davide lasciò l'arca a casa di una famiglia Levita e tornò a casa con la coda tra le gambe profondamente umiliato. Per incoraggiare Davide a ricercare i principi spirituali giusti per fare un altro tentativo secondo conoscenza, Dio benedisse grandemente la famiglia di Obed-Edom di Gath: scoppiò un risveglio personale nella sua famiglia.

Nella seconda parte dello studio vedremo il secondo tentativo di Davide di trasferire l'arca della presenza di DIO a Gerusalemme e i principi spirituali da seguire se vogliamo anche noi la manifestazione della gloria di Dio dove viviamo.

SECONDA PARTE





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